facebook twitter rss

La legge “ingiusta”

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

La legge ingiusta
“Summum ius summa iniuria”- Cicerone

La legge non sempre è giusta. La triade epistemica legge-diritto-giustizia, pur essendo i “termini” inscindibilmente legati tra loro, non sempre però corrisponde al sentimento di “legge giusta” che anima un popolo, rappresentando la stratificazione nei secoli di principi assunti come buoni (e dunque meritevoli di tutela), alla stregua della dottrina del giusnaturalismo (diritti innati, come tali di ineludibile tutela). L’atto legislativo, che promana dal potere legislativo, è un atto di indirizzo politico da cui deriva la regola iuris, la norma che va osservata dai consociati, a prescindere dal contenuto. Il diritto è, invece, il compendio (la sub-stantia) dell’ordinamento, metonimia del sistema che regola la vita dei consociati: vale a dire il proprium di quelle che sono le norme che disciplinano la vita  in ambito sia pubblico sia privato. La giustizia, infine, è l’espressione del potere giurisdizionale, sorta di sintesi hegeliana (thesis/aphayresis/hiperoche, secondo i canonisti medievali) che deve, componendo rigorosamente e armonicamente la questione dibattuta, scegliere uno dei corni del dilemma per decidere (da de-caedere, fare una cernita, separare” il grano dal loglio”) dove sia il torto e dove la ragione. Già il Santi Romano  (seguito dal Montesquieu e dal De Savigny, per segnalare i più “citati”) mette in luce queste discrepanze, le disgrazie del sistema, oggi più che mai macroscopiche: in particolare la elefantiasi (iperproduzione) -in binomio destruens con la burocrazia-, è tale, che la certezza del diritto è diventata il fanalino di coda: laddove, invece, i cittadini, per poter vivere ordinatamente, hanno il sacrosanto diritto di sapere quali sono i punti fermi che disciplinano il loro stare insieme, in un ambito pubblico o privato che sia. Sul fronte contiguo della giustizia -pur elevata, da personalità come Aristotele, al rango di categoria-, sovente non è giusta (nonostante il gioco di allitterazioni che si contraddicono fra loro), non infrequentemente perché giusta non è la legge. Ma assai spesso jus-ta non è nemmeno la pronuncia giurisdizionale, ispirata a tutt’altro che a giustizia, nel senso etimologico e “primitivo”  del  lessema. L’auspicio è che si ripristini la tutela, la garanzia dell’osservanza della legge, che alla fonte sia giusta: la giustizia al servizio del cittadino. Giustizia che si incarna nella dea Dike, la quale, scegliendo uno dei corni del dilemma, sentenzi – non disgiunta da onestà intellettuale e valenza morale- da quale parte sia la ragione (ratio, logos). Una giustizia (e qui si chiude il cerchio) che non può prescindere da quella che Sant’Agostino dice la Carità, e che Paolo di Tarso, dal canto suo, pone a base della summa quaestio: “littera enim occidit, spiritus autem vivificat”: in ciò splende la mens legis.
p.s.
“Condannato per aver portato fiori tra le macerie dell’hotel Rigopiano, la tomba di suo figlio: area sotto sequestro. 2 mesi di carcere commutati nella pena pecuniaria di €4.550,00. Inflessibili:  ha violato i sigilli”. Da “leggere” mentre si sfogliano le pagine dell’Apocalisse di Giovanni, schiodati i Sigilli.

* giudice


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page


Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati




Gli articoli più letti