di Silvia Ilari (foto Simone Corazza)
È in vicolo Zara, a Fermo, che il fotoreporter Mario Dondero ha passato le estati con la sua famiglia prima e si è stabilito definitivamente poi, costruendo un legame indissolubile con il territorio. Lo dimostra l’impegno con cui in molti stanno raccogliendo l’appello a donare per l’acquisto dell’immobile per farne una casa museo, come ci racconta Laura Strappa, sua ultima compagna.
«Ci sono tante persone che stanno scrivendo e versando. Inoltre, sono diversi gli amici che ci hanno detto di voler fare del loro meglio diffondendo la voce. Speriamo nella generosità di chi crede nella memoria della cultura» afferma Strappa.
È lei che ci ha aperto le porte della piccola casa che racconta vita privata e interessi di Dondero, mentre ci parla anche delle novità dell’iniziativa dell’associazione “Altidona Belvedere”.
L’amore per Fermo
Nato a Milano, Dondero vive a lungo in Francia, dove si trasferisce nel 1955. Qui, lavora per testate come “Le Monde”, “Le Nouvel Observateur” e si sposa con Annie Duchesne, scomparsa nel 1995.
Alla sua morte, sceglie Fermo come sua nuova città d’adozione. Alla città si era avvicinato una prima volta nel 1985, dopo essere andato in Abruzzo a ritirare il Premio Scanno, dove conobbe Danilo Antonili e altri fotografi della zona, che lo invitarono a Fermo.
Entrambi se ne innamorarono: «In particolare, la moglie – che era una storica – rimase folgorata dalla biblioteca cittadina ed è a Fermo che ha voluto essere sepolta» racconta Strappa.
Negli anni Dondero ha coltivato le amicizie sul territorio, realizzando diverse mostre, anche per Emergency e Caritas, portando a Fermo e Altidona alcuni dei grandi fotografi che conosceva come Danilo De Marco e Letizia Battaglia.
La raccolta fondi e i progetti
«Mario ha lasciato una rete di amici sterminata, sia in Italia che in Francia, per l’affetto che ha destato in tutta la sua vita. Bisogna raggiungerli tutti, attraverso una grande campagna informativa» dice Strappa che sottolinea l’unicità dell’iniziativa: «È la prima volta che l’associazione fa una cosa del genere, perché fino ad ora ci sono sempre stati finanziamenti su progetti, collaborazioni con Istituzioni, case editrici ma nulla diretto alla casa».
Strappa racconta l’iter che ha portato alla decisione di tentare la via della raccolta fondi: «La casa è stata messa in vendita dagli eredi solamente qualche mese fa. Quando siamo venuti a conoscenza della loro volontà, abbiamo deciso che, acquisire la casa da parte dell’associazione che ha già in dotazione l’archivio e anche i suoi quaderni nella fototeca di Altidona, desse valore al lascito di Mario. Questa è la casa in cui lui ha vissuto gli ultimi anni della sua vita, dove ha ricevuto tantissime persone. Tantissimi curatori di mostre, fotografi sono stati qui, è un luogo intriso di memoria».
La scelta di rivolgersi ai privati è stata «ponderata» e legata al fattore tempo, in quanto la strada del settore pubblico ne avrebbe sicuramente richiesto di più. Inoltre, spiega Strappa «abbiamo optato per contare molto sulla comunità degli amici e degli estimatori di Mario, anche perché pensiamo che lui avrebbe apprezzato questa scelta. Lui era una persona che non si dimentica, che lasciava una traccia, molto interessato agli altri con cui riusciva a entrare in sintonia. Era molto empatico e questo faceva sì che le persone lo avvertissero. Sentirsi riconosciuti e accettati da qualcuno per come si è non succede tanto di frequente. Questo suo tratto della personalità era pressoché unico. Inoltre, aveva sempre tanti progetti in testa e cercava di coinvolgere sempre le persone. Era generoso sia nel suo lavoro, che da un punto di vista umano».
L’acquisto – specifica – è solo un primo passo: «La nostra intenzione di farne una Casa Museo presuppone dei lavori di restauro garantendo tutte le condizioni di sicurezza, in previsione di un afflusso di visitatori. Speriamo, poi, anche nella generosità di donatori importanti. Il terzo passo da fare è sicuramente la gestione. Tutto questo, comunque, verrebbe dopo l’acquisto».
«Intessere relazioni è fondamentale» sottolinea, ricordando che, durante le Giornate del Fai, tanti sono stati i fotografi, anche da fuori regione, a mettersi in fila per visitarla e «quindi potrebbe costituire una nuova attrazione culturale per Fermo».
Il restauro, come già detto, è da fare, ma c’è la volontà di non snaturare la casa: «Noi vorremmo restasse il più possibile com’è, emblematica. È una casa priva di confort, molto semplice, ma piena di ricordi, fotografie anche con la sua famiglia e amici e per questo interessante per chi segue il personaggio. Ci sarebbe anche l’idea di una messa a disposizione del Comune di Fermo che potrebbe inserirla nella rete dei suoi musei».
La casa
Nella casa del fotoreporter c’è tanto di lui, correlato al suo lavoro, ma anche al suo privato.
«A lui piaceva molto raccontare le storie legate alle sue fotografie, ai suoi incontri. Per esempio, nella sua biblioteca c’è una grandissima quantità di libri sull’Unione Sovietica, sulle rivoluzioni dei Paesi in via di sviluppo, sulla guerra civile spagnola a cui Mario si è molto interessato, anche a causa della fotografia di Robert Capa, “Il miliziano ferito a morte”. Mario era andato decine di volte in Spagna, per arrivare a ricostruire la storia di quella foto, perché tanti sostenevano che fosse un falso o che Capa avesse sacrificato qualcuno per quella foto. Invece, Mario trovò tutte le ragioni storiche e il suo dossier fu pubblicato» spiega Strappa.
A tal proposito, nella casa è conservato un numero di “Regards”, rivista che proponeva reportage in lotta contro Franco e che pubblicava spesso foto di Robert Capa. Dondero ammirava Capa, in quanto era riuscito a dare «una dimensione umana alla guerra, facendone vedere la devastazione per la gente semplice. Odiava la guerra».
Inoltre, era sostenitore del giornalismo di strada, sosteneva che «nei posti bisogna andarci, non si può seguire qualcosa da lontano, occorre incontrare le persone, mangiarci insieme».
Oltre alla fotografia, grande amore di Dondero era il Genoa, di cui era un grande tifoso e ne conservava anche cimeli inerenti al club. Era molto fiero di essere stato inserito nell’associazione dei camalli del porto di Genova. A Milano e Genova era molto legato per via delle origini dei suoi genitori.
Tra i suoi libri c’è anche tanta letteratura, americana, italiana, francese, Mario leggeva molto. Diversi volumi sono conservati nella fototeca di Altidona, ma qualcosa è ancora in casa.
Al termine del giro, non possiamo fare a meno di chiedere cosa avrebbe pensato Dondero della iniziativa di aprire la sua casa al pubblico, di farne una Casa Museo: «Ci abbiamo pensato. Lui contava molto sulla solidarietà. Sarebbe felice che gli altri potessero entrare, tra virgolette, nella sua vita, nei suoi anni fermani».
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