Per gli amanti della palla ovale e non, l’appuntamento da non perdere è per mercoledì 31 luglio, alle ore 21.30 a Montefalcone Appennino (area dell’ex tirassegno, evento gratuito). Il ricco cartellone del Festival Storie fa tappa nel piccolo borgo montano per un’altra affascinante storia di sport e di vita con la leggenda del rugby, Diego Domínguez. Nato a Córdoba, ha iniziato la carriera internazionale con l’Argentina, poi proseguita dal 1989 con l’Italia. I numeri parlano chiaro: con la maglia della Nazionale è l’ottavo miglior marcatore al mondo della storia del rugby con 1.010 punti (in 76 incontri) e con 2.966 punti tra il 1990 e il 1997 è il terzo miglior realizzatore di sempre del campionato italiano. Oggi Domínguez si divide tra Italia e Argentina e si dedica molto al sociale: coordina un progetto di recupero all’Istituto penale per minorenni “Cesare Beccaria” a Milano e insegna a giocare a rugby ai ragazzi delle periferie. Sul palco del Festival Storie dialogherà con il giornalista di Repubblica Massimo Calandri, storico inviato del rugby.
«Sono molto contento e motivato di venire a Montefalcone Appennino – dice Domìnguez, stando a quanto riferiscono dall’organizzazione del Festival – curioso della serata che passeremo insieme e poi vicino a me ci sarà una leggenda del giornalismo sportivo come Massimo, anche lui ex rugbista, sarà divertente. Ringrazio Fabio Paci dell’invito e per aver coinvolto anche Calandri: mi ha parlato con tanto entusiasmo di questo Festival che mette in rete 12 piccoli borghi terremotati e mi ha convinto. Avrò l’occasione anche di rivedere il mio amico Tarcisio Senzacqua che vive a Monte San Martino ed è un imprenditore molto illuminato e conosciuto a livello internazionale». Un’altra curiosità è che proprio di Montefalcone Appennino è originario il rugbista 23enne Riccardo Schinchirimini, che lo scorso 2 giugno ha disputato, con il Rugby Viadana, la finale scudetto di seria A Elite di rugby.
Dominguez, sua mamma emigrò in Argentina partendo proprio dalle Marche, le ha parlato di questa regione?
«Mi ha sempre parlato molto bene delle Marche, lei aveva la famiglia ad Ancona, mio nonno, con il quale ho passato tantissime estati, non voleva andare via da queste bellissime terre, infatti tornava spesso quando era in Argentina. Negli anni il rapporto con le Marche non si è mai perso, anche io torno ogni volta che posso, vorrei conoscerle tutte».
Lei fa molti camp in giro per l’Italia, le piacerebbe fare qualcosa nelle Marche?
«Non ho mai fatto niente nelle Marche e mi piacerebbe molto, magari dalla serata del Festival Storie di mercoledì potrebbe nascere qualche occasione. Le Marche sono straordinarie, con uno sguardo puoi vedere sia il mare sia le montagne. Tutto è più familiare qui, si lavora l’uno accanto all’altro, il concetto di collaborazione è visibile ovunque, soprattutto nei piccoli borghi e si sposa bene con la filosofia dello sport di squadra».
Ha detto che il rugby le è servito, nella seconda parte della sua carriera, per aiutare chi ha preso la strada sbagliata, qual è stato il suo modello?
«Il mio modello è stato il rugby stesso, le regole, fuori dal campo, dentro al campo e tutta l’educazione sportiva in generale che ho ricevuto. Sono cose che cerco di trasmettere oggi ai giovani e di applicare tutt’ora io stesso. A me questo sport ha dato tantissimo, non parlo di professionismo, ma soprattutto del livello dilettanti, è quello il movimento grosso, quello che ti forma per sempre».
Qual è il segreto di questo sport che sembra violento, ma in realtà vive di fair play?
«In questo sport non puoi giocare da solo, quando hai la palla in mano la devi passare a un altro compagno, non te la puoi tenere sennò ti saltano addosso, in difesa, in attacco, la squadra è la tua forza, devi sostenere i tuoi compagni. E così è nella vita, c’è gente che ha bisogno di aiuto e allo stesso modo tu avrai bisogno dell’aiuto di qualcuno. Oggi la gente si chiude molto, invece bisogna aprirsi, dare una mano e farsi dare una mano. Con i giovani lavoro molto su questo, sono quelli che di più hanno bisogno di capirlo, sono molto concentrato su di loro e sulle loro vulnerabilità».
Diego, come si diventa uno dei più grandi di sempre?
«Con costanza, con disciplina e con passione. Senza guardare il tempo, sai quando cominci al mattino, ma non sai quando finisci la sera e lo ripeti, non un giorno, non una settimana, ma per anni, chi è disposto a far questo, arriva».