Maurizio Petrocchi
di Maurizio Petrocchi *
Da Berlino ad Ankara: la nuova città delle spie. Una frontiera tra Russia e Occidente. È notevole come lo scambio tra prigionieri richiami alla mente le pratiche della Guerra Fredda, in particolare gli scambi avvenuti sul “Ponte delle Spie” a Berlino. Tuttavia, ci sono differenze significative che riflettono il mutato contesto geopolitico. Il fatto che lo scambio sia avvenuto in Turchia, piuttosto che in Germania, è indicativo del cambiamento nelle dinamiche di potere globali e del ruolo emergente di attori regionali. Il primo agosto 2024 per storici, analisti di intelligence e per i governi di molti paesi è stato un albo signanda lapillo dies.
Ad Ankara c’è stato un massiccio scambio di prigionieri tra Russia, Stati Uniti ed altri paesi europei. L’ampiezza e la complessità di questo scambio – ha coinvolto 24 prigionieri da vari paesi – è senza precedenti e riflette la natura ibrida e multiforme delle tensioni attuali tra Russia e Occidente. Non si tratta più solo di spie “tradizionali”, ma di un mix di giornalisti, attivisti politici, hacker e persino un assassino condannato. Questo evidenzia come le linee tra spionaggio, attivismo politico e criminalità si siano sempre più sottili nell’era contemporanea. Il ruolo centrale dei servizi di intelligence in questi negoziati è stato particolarmente degno di nota. Storicamente, i servizi segreti hanno spesso agito come canali di comunicazione non ufficiali tra nazioni ostili, e questo caso ne è un esempio lampante. La capacità di condurre trattative delicate lontano dai riflettori diplomatici ufficiali rimane un aspetto cruciale dell’intelligence moderna. L’insistenza di Putin per il rilascio di Vadim Krasikov, l’assassino condannato in Germania, è emblematica del suo approccio alla politica estera e alla sicurezza nazionale. Riflette una continuità con le pratiche dell’era sovietica, dove agenti che compivano “missioni di Stato” all’estero venivano considerati eroi, indipendentemente dalla natura delle loro azioni. Il coinvolgimento di figure di spicco nei negoziati evidenzia il ruolo persistente degli oligarchi russi come intermediari non ufficiali, un fenomeno che ha radici nella transizione post-sovietica degli anni ’90. La cronologia degli eventi, inclusi i processi accelerati in Russia e la misteriosa “scomparsa” dei prigionieri prima dello scambio, rivela i meccanismi interni del sistema giudiziario russo e come esso possa essere manipolato per scopi politici e diplomatici.
Le immagini contrastanti di Putin che abbraccia le spie rilasciate a Mosca e Biden che accoglie i prigionieri americani liberati a Washington sono potenti simboli visivi che ricordano le coreografie propagandistiche della Guerra Fredda.
Questo scambio di prigionieri rappresenta un affascinante caso di studio delle dinamiche contemporanee tra Russia e Occidente. Esso combina elementi di continuità storica con le nuove realtà geopolitiche, tecnologiche e mediatiche del XXI secolo. Lo scambio di prigionieri tra Russia e Occidente rappresenta un affascinante capitolo nella lunga storia degli scambi di spie e prigionieri politici. Innanzitutto, la scelta di Ankara come luogo dello scambio è significativa. Durante la Guerra Fredda, il ponte di Glienicke a Berlino, noto come il “ponte delle spie”, era il simbolo per eccellenza di questi scambi. Il passaggio da Berlino ad Ankara riflette il mutamento degli equilibri di potere globali e l’emergere di nuovi attori regionali. La Turchia, membro della Nato ma con rapporti complessi con la Russia, si pone come mediatore in un mondo multipolare. La portata e la complessità di questo scambio sono senza precedenti. Coinvolgendo 24 prigionieri, alcuni media russi dicono 26, da vari paesi, va ben oltre i classici scambi “uno contro uno” o “due contro due” tipici della Guerra Fredda. L’inclusione di figure come Evan Gershkovich e Alsu Kurmasheva, giornalisti accusati di spionaggio, solleva questioni importanti sul confine sempre più sfumato tra giornalismo e intelligence nella percezione di regimi autoritari. Questo fenomeno non è nuovo – pensiamo al caso di William Oatis durante la Guerra Fredda – ma acquisisce nuove dimensioni nell’era dell’informazione globale. L’inserimento di attivisti politici come Vladimir Kara-Murza e Alexei Navalny (quest’ultimo purtroppo deceduto) nello scambio evidenzia come la Russia continui a trattare il dissenso politico interno come una questione di sicurezza nazionale, in linea con le pratiche dell’era sovietica. Il coinvolgimento di hacker come Roman Seleznev e Vladislav Klyushin tra i prigionieri sottolinea l’importanza crescente del cyberspazio come nuovo terreno di confronto tra stati. Questo aspetto rappresenta una significativa evoluzione rispetto agli scambi della Guerra Fredda, riflettendo le nuove frontiere dell’intelligence nel XXI secolo.
* docente di storia del giornalismo e media digitali all’università di Macerata, storico ed esperto in conflitti, violenza, politica e terrorismo
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