facebook twitter rss

Cinghiali, cacciatori in protesta e stagione a rischio: «Promesse non mantenute, incroceremo le braccia»

ASCOLI - L’aumento dei costi e le richieste non accolte dalla Regione hanno convinto oltre 1.000 appassionati a fermarsi, a due settimane dal via dell’attività venatoria

di Federico Ameli

 

Tira aria di protesta negli ambienti della caccia al cinghiale del Piceno. Lo scorso giovedì 12 settembre, i rappresentanti di 21 delle 22 squadre attive su tutto il territorio provinciale si sono riuniti per fare il punto della situazione a poco più di due settimane dall’avvio di una stagione venatoria che, ad oggi, rischia a tutti gli effetti di non partire.

Il motivo è da ricercare nel mancato accordo tra i praticanti di caccia al cinghiale in forma collettiva e la Regione Marche, rappresentata dall’assessore regionale alla Caccia Andrea Maria Antonini, in vista dell’imminente stagione venatoria, che si aprirà ufficialmente il prossimo 2 ottobre per poi chiudersi il 31 gennaio 2025.

 

Per far fronte ai rischi della diffusione della Psa, la peste suina africana, il periodo di caccia al cinghiale è stato infatti prorogato di un ulteriore mese rispetto ai canonici tre, con un aumento delle spese a carico dei cacciatori. In particolare, conti alla mano, le squadre sono chiamate a farsi carico di un costo aumentato fino a 1.070 euro per lo smaltimento di pelli e viscere, a cui si aggiungono le spese delle visite delle corate e l’iscrizione delle squadre per un minimo di 500 euro, senza considerare le quote versate per la quota carni dalle stesse squadre nell’ambito del controllo svolto al di fuori dell’attività venatoria al fianco della Polizia Provinciale.

 

Cifre importanti, con importi e vincoli da cui invece la caccia relativa ai fascicoli aziendali – per i non addetti ai lavori, si tratta dell’attività venatoria svolta in prossimità di terreni privati soggetti ai rischi che la presenza dei cinghiali porta con sé, con l’abbattimento dell’animale e la possibilità di venderlo – è esente, e che dunque vanno a gravare sulle tasche di oltre 1.000 appassionati attivi in tutta la provincia.

Danni causati dalla presenza dei cinghiali in un terreno coltivato

 

Al di là della componente ricreativa, la caccia garantisce benefici anche all’economia locale, se si considerano le possibili ripercussioni della peste suina sulle sorti degli allevatori locali e, aspetto da non sottovalutare, i numeri fatti registrare in media dalle stagioni venatorie nel Piceno, con l’abbattimento in braccata o girata di un numero di capi che oscilla tra i 1.200 e i 1.500 nel giro di 3 mesi.

 

Per queste ragioni, negli ultimi mesi i cacciatori hanno presentato alla Regione e all’assessore Antonini un elenco di proposte di modifica alle norme vigenti in materia di caccia, che spaziano dalla composizione delle squadre ai vincoli di tabellazione perimetrale, ai fucili da impiegare per la girata.

 

Ad oggi, però, nonostante le promesse, la situazione non è cambiata e i cacciatori si dicono pronti a incrociare le braccia in segno di protesta. Un episodio unico nel suo genere nella tradizione venatoria picena, frutto di un malcontento generale che in questi giorni rischia di coinvolgere anche le altre province marchigiane.

 

«Abbiamo presentato poche e semplici richieste, finora tutte disattese – fanno sapere i rappresentanti delle 21 squadre coinvolte Per il momento abbiamo scelto di fermarci in segno di protesta, ribadendo le richieste già fatte e ad oggi ancora non accolte.

 

L’estensione della stagione venatoria ha fatto lievitare i costi a carico delle squadre. Avevamo proposto un periodo di caccia diverso, andando a comprendere il mese di febbraio anziché quello di ottobre, in cui la vegetazione fitta e la presenza massiccia di raccoglitori di castagne e funghi rappresentano un notevole pericolo. Inoltre, la scelta di ottobre rischia di costituire un problema anche sul fronte igienico-sanitario, dato che in assenza di basse temperature le carni potrebbero deteriorarsi.

 

 

Mentre noi siamo costretti a spendere cifre importanti per fronteggiare un impegno economico sempre più oneroso, peraltro, la Regione ha scelto di investire centinaia di migliaia di euro per un progetto di filiera delle carni di selvaggina da cui noi non trarremo alcun beneficio. Inoltre, ci chiediamo in che modo i fascicoli aziendali smaltiscano le pelli e le viscere degli animali.

 

Per questi motivi, non ritireremo i registri Atc – forniti dalla Regione e da compilare ad ogni uscita, ndr – e ci fermeremo, in attesa che chi di dovere prenda in considerazione le nostre richieste».

 

Il tempo stringe, ma la speranza è che Regione e squadre trovino un punto di incontro in tempo utile.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page


Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati




Gli articoli più letti