di Alessandra Pierini
«La sinossi in breve dell’Otello è: un uomo uccide la moglie si suicida. Da quando sto presentando questo film, tre donne sono morte così. Questo conferma che questo film era necessario». Edoardo Leo ha presentato così questa sera “Non sono quello che sono”, rilettura di Otello, ambientato nel Duemila e nella malavita romana, agli studenti dell’Università di Macerata, accorsi in massa a palazzo Ugolini: «Ringrazio quei sette maschi che sono in sala» ha detto il regista e attore romano all’inizio della tappa nel capoluogo del suo masterclass tour negli atenei.
Un tema difficile che proietta Leo in una dimensione diversa da quella con cui ha conquistato il grande pubblico, ma molto più profonda, vicina alla realtà e legatissima all’attualità nonostante il film sia una rilettura della tragedia scritta da William Shakespeare in chiave moderna e in dialetto. Un lavoro che ha avuto una gestazione di 15 anni di cui ha dialogato con il rettore e docente di letteratura inglese John McCourt, alternando analisi, battute e clip del film. Il talk, moderato da Francesca Chiappa, fondatrice e direttrice di Hacca Edizioni, è stato realizzato grazie all’intermediazione di Marche Film Commission e Fondazione Marche Cultura.
Dalla violenza contro le donne al razzismo, dalla gelosia al patriarcato, sono tanti i temi che dal teatro shakesperiano, il regista riporta nell’attualità, traducendo il testo (tradito solo in alcune parti) e lavorando sui “silenzi”.
«Il mio intento – ha spiegato Leo – era di togliere la pietas romantica che dipinge Otello come vittima del suo amore. Otello non è vittima, è un carnefice, che non è riuscito a gestire il proprio portato emotivo come accade in tante storie di cronaca che vediamo oggi. Cercare di togliere il velo sul tema del patriarcato è qualcosa di cui mi occupo da tanto tempo e di cui mi sono accorto di non essere immune. Si chiama la tragedia di Otello ma in realtà la tragedia è tutta di Desdemona».
A proposito della traduzione di Shakespeare, la “benedizione” è arrivata anche dal rettore McCourt: «Tradurre Shakespeare è un lavoro necessario di traduzione. Le tematiche affrontate 400 anni fa sono ancora importanti. Si possono ascoltare anche in dialetto. Non è un tradimento ma un arricchimento».
Poi l’artista, che nel film (in uscita il 14 novembre) interpreta Jago, dà una scrollata alla platea, attentissima e coinvolta: «Sono sicuro che qua dentro che c’è gente che vive relazioni tossiche. Non è una mia intuizione. È statistica. Io ho fatto questo film anche per quelle ragazze che sono qui e non hanno coraggio di rivolgersi ai genitori o di chiedere aiuto. Siamo assuefatti di immagini patriarcali. Abbiamo sopportato che i nostri nonni dicessero frasi come mogli e buoi dei paesi tuoi o che ai bambini si dicesse non piangere come una femminuccia. Io accendo luci su questa modernità sconcertante in cui il patriarcato resiste».
«Questo è un Paese vecchio – ha detto ancora Leo ai ragazzi e alle ragazze presenti -, in cui i maschi sono attaccati alle poltrone in modo feroce in ogni ambito. La vostra generazione viene dipinta in modo molto peggiore di quello che è, come una generazione attaccata solo ai social network, mentre è invece molto più curiosa e informata di noi. Ma dovete cacciarci da qua. Dovete diventare professori a 20 anni, non a 60. So che è una provocazione, ma c’è bisogno che quelli della mia generazione lo dicano. Non voglio essere utopico, ma a me questo Paese non piace molto coì come è e faccio quello che posso per criticarlo».
Toccante il momento finale in cui Edoardo Leo ha ripercorso la storia dello stupro di Franca Rame nel suo monologo, ma anche attraverso le domande che le sono state poste dal carabiniere che ha raccolto la sua denuncia o dal giudice in tribunale, fino a passare in rassegna come il patriarcato ha costellato anche la legge: dal matrimonio riparatore al delitto d’onore fino allo stupro come delitto contro la morale anziché contro la persona.
Nel pomeriggio Unimc ha ospitato anche il celebre pianista Ramin Bahrami, considerato uno dei maggiori interpreti contemporanei di Johann Sebastian Bach, e il critico musicale Alberto Spano, che hanno dialogato a proposito di Glenn Gould, il leggendario pianista canadese e lo scrittore e conduttore televisivo Carlo Lucarelli, che ha dialogato sul tema del colonialismo italiano con Uoldelul Chelati Dirar, docente di Unimc e traduttore del libro “L’Ascaro. Una storia anticoloniale” di Ghebreyesus Hailu.
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