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«Altolà definitivo agli uteri in affitto: il reato universale di maternità surrogata»

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

Altolà definitivo agli uteri in affitto: il reato universale di maternità surrogata. “(…)per ideologia si intende difendere la dignità delle persone, delle madri, dei bambini, che hanno diritto a sapere chi è il loro padre, chi è la loro madre ed hanno diritto a non essere merce” -L. Malan.

 

Il Senato ha approvato definitivamente la legge che rende reato universale la maternità surrogata. La normativa modifica l’articolo 12, comma 6, della legge n. 40/2004, che attualmente sanziona chiunque sia coinvolto nella commercializzazione di gameti o embrioni, o partecipi alla pratica della gestazione per conto di terzi. Il divieto di ricorrere alla maternità surrogata verrà dunque applicato anche fuori dai confini nazionali. Questo implica che, pur ricorrendo alla maternità surrogata in un paese dove è consentita, si rischia comunque una condanna una volta tornati in Italia. Lo scopo è quello di scoraggiare un “indirizzo procreativo” verso paesi dove la maternità surrogata non è considerata reato. Severe le pene sia per chi commissiona la maternità surrogata, sia per chi fa da intermediario. La legge intende in eguale misura garantire i diritti del minore, pur mantenendo il divieto, cercando di evitare situazioni di discriminazione o irregolarità nella registrazione all’anagrafe.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha già confermato che l’Italia può rifiutarsi di riconoscere automaticamente i figli nati da maternità surrogata all’estero, poiché il diritto alla vita privata e familiare non implica necessariamente il riconoscimento automatico di tali atti. Anche la Cassazione ha condannato la pratica della maternità surrogata, incluso il suo svolgimento a titolo gratuito, in quanto «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». Dal canto suo, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 33/2021, ha sottolineato la necessità di interventi normativi per disincentivare la pratica della maternità surrogata e proteggere i diritti dei minori nati attraverso la gestazione a “beneficio” di terzi. Chi scrive è in piena sintonia con questa linea di pensiero. Se è vero che la maternità non è riconducibile solo a un fatto biologico, è, però, indubitabile che la gravidanza e il parto sono eventi che segnano profondamente una donna: e non soltanto la donna. Sì che non può essere negoziato quel legame speciale, unico, che lega in un nodo inestricabile madre e figlio. Non siamo al mercato, i figli sono, direbbero i Romani, res extra commercium, “beni” non in vendita. Sovente, la scelta della maternità surrogata non sottende una vera libertà, ma è dettata da condizioni estreme, di povertà, solitudine, disperazione. Basti pensare all’incremento che ha avuto questo fenomeno in Ucraina dopo l’invasione russa. Pratica degradante, che mercifica la vita, in Italia la (altrimenti detta) gravidanza “solidale” è vietata dalla l. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, che la considera reato. Finora, però, nessuno si era posto il problema di impedire che questa prassi fosse commessa all’estero, per lo più da persone con ampie disponibilità economiche. L’unica strada per tutelare l’interesse del bambino nato da maternità surrogata è quella indicata ormai da anni dalla magistratura, cioè l’adozione, in casi particolari, di minori, che prescinde dal loro stato di abbandono. Concludo, dicendo che non si può, per diritto naturale, già-dato (che sta prima, cioè, di ogni codificazione normativa), tollerare oltre una pratica abominevole (in senso strettamente etimologico), che si fa beffe, fino a saccheggiarla, della Natura, intesa come Principio Primo, assoluto (al netto di quelli che sono gli aiuti che la scienza e la ricerca possono fornire) e inderogabile. La deriva in cui è sfociato l’egoismo, per un verso, e lo sfruttamento delle altrui condizioni di indigenza, per l’altro, che ha partorito questo “mostro”, è non soltanto indice della desacralizzazione della vita, ma anche matrice di tante altre deviazioni, non soltanto dal comune buon senso come universalmente riconosciuto, ma da quell’honeste vivere che, come più volte ho rimarcato, è uno dei pilastri su cui si regge la civiltà dell’uomo.

 

* giudice


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