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L’artrite psoriasica: riconoscerla, accettarla e curarla. I consigli della dr.ssa Farina a Reuma on Air (Videointervista)

FERMO - Consigli, testimonianze e principali criticità da risolvere per migliorare la vita dei pazienti: «Importanti la diagnosi precoce e la costanza nella terapia»
Artrite psoriasica, i consigli della reumatologa Antonella Farina

Un approfondimento a 360 gradi sull’artrite psoriasica, quello proposto ai microfoni di Radio Fm 1, all’interno della rubrica Reuma on Air. Ospiti della puntata la reumatologa dell’ospedale Murri di Fermo, Antonella Farina, la presidente dell’associazione Anmar Marche, Stella Rosi, e Veruska, una donna affetta da questa patologia, che ha raccontato la sua esperienza.

«L’artrite psoriasica è differente da quella reumatoide – ha spiegato la dottoressa Farina – quest’ultima è in genere simmetrica, sia a destra che a sinistra, la psoriasica colpisce in genere le piccole, ma in alcuni casi anche le grandi articolazioni.  Fare accurate anamnesi ed indagini quando incontriamo il paziente è fondamentale: spesso si hanno manifestazioni cutanee subdole, che magari il paziente non ha collegato al suo fastidio articolare. Possono comparire delle macchioline al cuoio capelluto, dietro l’orecchio o all’interno del padiglione auricolare. Serve porre al paziente domande specifiche, anche sulla familiarità, o su episodi storici magari lontani nel tempo che denotano la patologia. L’artrite psoriasica si può definire a tutti gli effetti una malattia sistemica, può esordire anche in un organo, agli occhi, o alle unghie».

Importante, come d’altra parte per ogni malattia, «operare una diagnosi precoce e trattare il paziente in tempo per evitare che si sviluppino danni negli organi che possono essere interessati» prosegue la reumatologa. Stella Rosi, presidente di Anmar Marche, evidenzia le principali criticità per i malati reumatici: «Il problema che accomuna i malati è la mancanza di un ambulatorio multidisciplinare, perché sono molteplici le branche mediche che possono essere interessate. Altro problema è la diagnosi e la presa in carico. Ieri in tutta la regione non c’era possibilità di prenotare una visita con codice P, programmabile. Anche nelle visite private si arriva a diversi mesi di attesa. Difficile, con queste tempistiche, garantire una diagnosi precoce».

Tocca poi al racconto di Veruska. «Tutto per me è partito da un dolore e un leggero gonfiore a un piede. Io avevo familiarità con la psoriasi, ne aveva sofferto mio padre. Il percorso è partito con le varie terapie, ma prima ancora con l’accettazione di dover affrontare una malattia cronaca. I dolori erano piuttosto importanti ed hanno limitato la mia vita. E’ una malattia ondulatoria, ci sono giorni migliori ed altri più duri. Dodici anni fa i tempi di attesa erano più sostenibili, non aspettai a lungo. Negli anni mi sono abituata, anche se all’inizio è stata dura. Ho un lavoro da impiegata che riesco a svolgere senza problemi. Nelle faccende domestiche invece ho bisogno di aiuto. Faccio movimento, che anzi è raccomandato, camminate e ginnastica dolce. A livello alimentare ho limitato le proteine animali e i latticini, una nutrizionista mi ha aiutato ad elaborare un piano appropriato».

«Carboidrati e zuccheri raffinati possono incrementare l’infiammazione – aggiunge la dottoressa Farina – La tipica dieta mediterranea è sicuramente corretta, occorre mangiare molta verdura, evitare troppi zuccheri e ridurre i carboidrati, magari aumentando l’apporto dei cereali. Opportuno limitare la carne rossa, bene le proteine del pesce. Sarebbe ideale mangiarne tre volte a settimana, poi è importante l’attività fisica».

«Non è facile accettare una patologia cronica, specie quando colpisce persone giovani, nel pieno dell’attività lavorativa – conclude la dottoressa Farina – Spesso capita che i pazienti sospendano la terapia perché si sentono bene e tornano in condizioni ancora peggiori. Lo scopo della terapia  è garantire al paziente una vita uguale, o pressoché uguale, a quella di una persona sana. Essendo una malattia sistemica, è poi importante che ci sia uno staff interdisciplinare, in grado di garantire una sola terapia e la presa in carico del paziente e di indirizzarlo nei diversi reparti a seconda delle esigenze».


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