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«Il vero uomo non è il macho, ma chi sa dialogare con l’altro» l’intervento di Giuseppe Fedeli

IERI l'incontro al tribunale di Fermo organizzato dalla Cpo degli avvocati contro la violenza sulle donne

di Giuseppe Fedeli*

Ieri, 25 novembre, è il giorno della commemorazione delle vittime di femminicidio. Figura nuova nel catalogo dei crimini, che assume un nomen specifico, a rimarcare la (atroce) singolarità del fenomeno. Quante vite, vite in boccio, spezzate dalla falce crudele di un gesto insano, quando premeditato, quando frutto di un raptus di feroce desiderio di possessione della altrui esistenza. Istantanee finite sulle pagine di nera, che ritraggono le vittime fino a poco prima sorridenti, o già inghiottite nel tunnel nero del terrore, l’urlo strozzato in gola, gli occhi che implorano pietà di fronte alla morte che incalza, e nessuno che è lì a distoglierla dal suo folle proponimento. Un lunghissimo elenco di nomi, ognuno di loro pareva voler gioire comunque, e sorridere scanzonato alla voglia di esserci; poi, freddi numeri di statistica, e uno scroscio di mani, ad applaudire un ricordo, già vestito di anima e corpo. Quel che rimane di un orizzonte, perso nella disperazione del non senso.

Ho letto, insieme ad altri ‘colleghi’, vea latere dell’intervento del Presidente del Tribunale e del Procuratore della Repubblica, una mia riflessione. Potevo virare su territori più acuti, vulnerabili alla pietas; invece di toccare le corde del sentire individuale e comunitario, ho scelto di tracciare un quadro socio-antropologico di quella, che è una tragica emergenza nazionale. Finite le parole, le parole dette, le parole mute, una rosa rossa nelle mani di chi ha voluto ricordare la sacralità della vita (in questo caso declinata al femminile), di quel grembo, di battiti, di carezze, di sogni. Un simbolo che accosta al rosso del sangue tutti i silenzi e i palpiti di chi ancora grida alla insipienza di chi, la coscienza ottenebrata, non saprà mai che il vero uomo non è il macho, ma chi sa dialogare con l’altro-da-sé: con quel seme che porta anche lui dentro, ma di cui sovente, per un retaggio di pregiudizi e assurda emulazione, si vergogna. Fino al gesto definitivo. Esecrabile. Che forse nemmeno un Dio potrà perdonare.

*giudice


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