di Silvia Ilari
Trentaquattro anni, originario del Fermano, è in lizza per il “Miglior esordio alla regia” su Ciak Magazine con il suo film “Io e il Secco”. Si può votare una volta al giorno, fino al 22 gennaio. Un film in provincia? «Vorrei farlo molto presto».
Testa e piedi a Roma, cuore a Monte Urano. Gianluca Santoni a 19 anni è in partenza per la Capitale. Segue una serie di cortometraggi, fino ad arrivare a dirigere “Io e il Secco”, film che l’ha visto debuttare sul grande schermo lo scorso anno e che sta raccogliendo numerosi consensi.
È successo ad “Alice nella città” la sezione del Festival del Cinema di Roma dedicata alle giovani generazioni, con la menzione speciale “Uno sguardo sul futuro” nel 2023, accade ora con l’approdo in finale nel concorso “Ciak d’oro” come miglior regista esordiente. In totale, la sua opera prima ha collezionato ben 24 premi.
Fino a dopodomani, in lizza con lui ci sono nomi conosciuti come quelli di Michela Giraud, Lina Sastri e un altro marchigiano: Damiano Giacomelli. Un segno – questo – che la nostra regione è sempre più terra di cinema, grazie ai suoi professionisti e ai set sempre più presenti sul territorio e che il Fermano stesso punta ad attrarre.
Santoni, come nasce il suo interesse per il cinema?
«Ho sempre frequentato molto le sale cinematografiche fin da bambino, prima con i genitori e dopo con gli amici, la fidanzata. Ricordo che un fine settimana, uscendo, chiesi a mia madre chi è “faceva i film”. “I registi” mi rispose, e io: “Allora voglio fare il regista”. Così, in maniera quasi incosciente. Crescendo, poi, quella volontà ha preso sempre più forma, con una visione più matura. Terminata la scuola superiore, quindi, sono andato a Roma, senza conoscere nessuno che facesse neanche lontanamente questo mestiere».
Poi, ha studiato al Centro Sperimentale di cinematografia.
«Esatto, ma quando sono arrivato mi hanno detto che le selezioni per il biennio erano già chiuse, perché quell’anno chiudevano prima, però mi hanno spiegato che probabilmente non mi avrebbero preso senza alcuna esperienza pregressa. In quei due anni, quindi, ho lavorato per prepararmi a quell’esame. Ho frequentato un corso di cinema privato e poi, il secondo anno, ho fatto l’autodidatta: ho imparato a girare e montare, facendo il videomaker».
Oltre che girare i film, li scrive. Il soggetto de “Io e il Secco” è risultato vincitore del premio Solinas nel 2017, forse il più importante concorso dedicato alla scrittura cinematografica in Italia.
«Sì, con Michela (Straniero n.d.r.) abbiamo iniziato a scrivere il film quando eravamo con un piede già fuori dalla scuola. L’anno dopo abbiamo deciso di partecipare. Non ci aspettavamo di essere selezionati ed eravamo già contenti così. Ancora meno ci aspettavamo di vincere per il miglior soggetto, quindi è stata un’emozione fortissima. Il premio ha attirato sulla nostra storia l’attenzione di diverse produzioni. Accadeva, però, che in molti sollevassero dubbi sul fatto che il protagonista, bambino, volesse uccidere il padre. Allora io mi affrettavo a spiegare. Erano spaventati. “Io e il Secco” è un chiarissimo racconto contro la violenza di genere e la mascolinità tossica, ma raccontato in questo modo poco convenzionale, faceva paura a molte produzioni».
Ci racconta un po’ la trama?
«Il film parla di Denni, un bambino di dieci anni che, per salvare sua madre dalla violenza di suo padre, decide di farsi aiutare da quello che lui crede essere un super killer, il Secco. Solo che purtroppo o per fortuna, lui tutto è meno che un killer, ma un ragazzo con un disperato bisogno di soldi che finge di stare al gioco, per derubare la famiglia del bambino. Il film racconta l’amicizia che si viene a creare tra loro due. È uscito al cinema lo scorso 23 maggio, ora è visibile anche in streaming, su Tim Vision e Amazon Prime Video. Tuttora tante sale e festival anche internazionali continuano a chiamarci per le proiezioni. Per esempio, siamo stati da poco in Belgio con il protagonista Andrea Lattanzi».
Parliamo di Marche, di Fermano. In che modo le sue origini influenzano il suo lavoro?
«Inizialmente, arrivato a Roma, mi sentivo di venire da un posto lontano anni luce, seppur sulla carta non lo è. Arrivare con il mio bagaglio e le mie esperienze mi dava la sensazione di avere qualcosa in meno rispetto agli altri, sentivo che parlavo con un accento che al cinema non si sente. Crescendo e poi facendo questo film ambientato in provincia, seppur nel Ravennate, ho capito che in realtà, invece, è una ricchezza provenire da un posto diverso dalla grande città. Molti spunti e atmosfere arrivano proprio dal posto in cui sono nato».
Le piacerebbe fare un film nella sua provincia?
«Tra Monte Urano e paesi limitrofi, nel 2018, ho già girato “Indimenticabile”, un cortometraggio che racconta una storia d’amore. Mi farebbe molto piacere lavorare anche su un lungometraggio ambientato dalle nostre parti e vorrei farlo molto presto. Mi piace anche l’interesse che sta dimostrando adesso la Marche Film Commission verso gli autori locali che hanno provato a far qualcosa fuori dai propri confini».
Su cosa sta lavorando ora?
«Insieme ad altri tre sceneggiatori sto scrivendo una commedia romantica. Da solo, invece, sto sviluppando un altro film che sarà più un racconto di formazione».
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