di redazione CF
«All’Ipsia piangi due volte…Dopo il clamore suscitato dall’articolo comparso su Cronache Fermane, il personale dell’Ipsia Ostilio Ricci di Fermo e i rappresentanti di Istituto degli studenti non ci stanno e con una lettera aperta rispondono a quel racconto della scuola ed ai conseguenti commenti negativi generati». Inizia così la lettera aperta dall’istituto fermano.
«L’episodio a cui fa riferimento il docente menzionato nell’articolo è, per l’appunto, un episodio, risalente a più di un anno fa. Non siamo a conoscenza di ulteriori informazioni su quell’episodio o, se qualcuno di noi lo sapesse, di certo non ne darebbe informazione, a tutela dei minori coinvolti, e anche perché si tratta di informazioni riservate. A noi preme fare altro e cioè restituire alla scuola un’immagine corretta, non distorta, anche a seguito delle dichiarazioni e dei commenti fatti da alcuni lettori. È vero che in tutte le scuole ci sono ragazzi con vissuti e problematiche difficili, forse nella nostra in misura maggiore rispetto ad altre tipologie di scuole; è vero che nelle nostre classi raramente accade che un docente, entri, si sieda, faccia l’appello e dica: “prendete a pag…”; è vero che il taglio di preparazione è più pratico e meno cattedratico, ma è appunto questa la ragione d’essere della nostra scuola, che, come da sua denominazione, ha la vocazione prevalente a preparare ragazzi per il mondo del lavoro. Ma questo non vuol dire che volino banchi, oggetti, insulti e che di questa quotidianità si faccia mortificazione per il docente che volesse insegnare nella nostra scuola e per l’alunno che volesse apprendere entrando in uno dei nostri percorsi».
«I nostri alunni – rimarcano dall’Ipsia – sono i figli di questo tempo, che difetta di molti valori e responsabilità, ma di questo non dobbiamo dare esclusiva colpa a chi è più vittima che carnefice. E anche fosse questo il caso, a maggior ragione va apprezzato e riconosciuto il lavoro di tutti quei professori che con entusiasmo e professionalità, ogni giorno, magari per anni o decenni, si spendono e si impegnano per formare quei ragazzi che qualcuno, senza scrupolo e pudore, definisce delinquenti e basta. Si informano tutti i lettori che abbiano rilasciato commenti denigratori su questi ragazzi, che quando hanno bisogno di un caldaista, di un idraulico, un elettricista, quando hanno bisogno di un bravo parrucchiere, di una esperta estetista, di un operatore informatico, di un bravo modellista, o di un meccanico, tutti questi imprescindibili professionisti che rendono funzionante la nostra giornata, si sono formati, o almeno hanno iniziato a formarsi in scuole specifiche, tra cui i famigerati professionali. Quelle mani e quelle intelligenze che dopo l’articolo uscito forse adesso si immaginano a tirare oggetti e a denigrare docenti, in realtà si applicano e si mettono in gioco su ben altro, e noi professori orgogliosamente e felicemente lo facciamo insieme a loro. La verità è che ciascuno di noi potrebbe insegnare in qualsiasi altra scuola, ciascuno di noi lo ha fatto e forse lo farà ancora, ma è proprio per questo che riconosciamo il valore e la differenza formativa di ciascun istituto e nessun docente che sia minimamente tale può disconoscere la missione bellissima e imprescindibile di andare a riprendere un ragazzo proprio dove è più facile che si perda; che prima di insegnare un contenuto di letteratura, storia, informatica o matematica, un ragazzo ha bisogno di essere visto e riconosciuto per quel che è; che a volte gli alunni mancano di rispetto, ma più spesso mancano di gioia; che nessuno ci ha obbligato a questo mestiere e men che meno ad esercitarlo in una scuola in cui non ci si riconosce. La verità è che non passa settimana senza che i nostri occhi si riempiano di commozione per le soddisfazioni inattese che proprio qui, in scuole come queste, quando ti raggiungono ti fanno davvero capire che come professore hai fatto la differenza nella loro vita; che forse hanno dimenticato Boiardo ed Alfieri, ma non hanno scordato te che tenevi la porta aperta con l’orologio alla mano per rimproverare di un ritardo; non perdono tempo con un congiuntivo perché hanno bisogno prima di darti un abbraccio o dirti che hanno un problema; che hanno rimosso il voto di maturità, ma non la strada che devono fare per venire a farti conoscere la fidanzata di cui sono orgogliosi, o a parlarti del primo contratto con uno stipendio che magari è maggiore del tuo, di cui si vantano, per cui ti sfottono ma di cui ti portano la gratitudine perché riconoscono che se lo hanno ottenuto è stato anche per te».
«Questi sono i colleghi di chi ha scritto, che lavorano nella stessa sua scuola, che si sentono grati per quello che fanno, stanchi, a volte demoralizzati, magari anche soli e incompresi, depotenziati, misconosciuti in una società che ha invertito valori e meriti, ma che di certo non dà la colpa di questo ai suoi ragazzi, né all’istituzione di appartenenza, perché sappiamo quanto impegno ciascuno di noi, in ogni diverso ruolo, metta oggi giorno, in nome di chi lo facciamo e perché. Questa lettera intende difendere la nostra scuola che da quasi sessanta anni è sul territorio, al servizio di imprese, comunità, enti e famiglie che quotidianamente ci riconoscono professionalità e missione; questa lettera è un abbraccio ideale a tutti i ragazzi che si sono sentiti denigrati e mal giudicati, come noi, da quell’immagine distorta ed unilaterale che non racconta nessuno dei nostri giorni, dei nostri progetti, delle nostre sfide, dei nostri entusiasmi e delle nostre conquiste; questa lettera è per dire a loro e alle loro famiglie che come ci siamo stati, ci saremo, che ci siamo sentiti umiliati, ma non arretriamo di un passo nel nostro impegno e nella nostra missione; che siamo orgogliosi degli uomini e donne che sono diventati e che stanno diventando, che possono venire a raccontarci i loro successi o i loro problemi e questa scuola sarà sempre aperta, per gli alunni di ora, di allora (e tanti di loro lo sanno) e quelli che verranno; che certo molte cose le sbagliamo, non siamo indenni da limiti, stanchezze, passi falsi, come tutti, ma il cuore e la professionalità non saranno mai messi in discussione. Perché chi vive e si spende per questa scuola sa che è vero quello che si dice: all’Ipsia (parafrasando un celebre detto sulla città di Napoli, ndr) piangi due volte, quando arrivi e quando te ne vai».
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati