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Sanità, nelle Marche il 9,7% dei cittadini rinuncia alle cure. Bassa anche la spesa pro capite

REPORT - Ci sono anche le Marche sul podio, dietro Sardegna e Lazio. Peccato che in questa classifica, stilata dalla Fondazione Gimbe su dati Istat 2023, le regioni ai primi posti siano quelle in cui le famiglie hanno  rinunciato a una o più prestazioni sanitarie. In termini percentuali questo dato si traduce, per le Marche, nel 9,7%, ben due punti in più rispetto alla media nazionale.

di Sandro Renzi 

Ci sono anche le Marche sul podio, dietro Sardegna e Lazio. Peccato che in questa classifica, stilata dalla Fondazione Gimbe su dati Istat 2023, le regioni ai primi posti siano quelle in cui le famiglie hanno  rinunciato a una o più prestazioni sanitarie. In termini percentuali questo dato si traduce, per le Marche, nel 9,7%, ben due punti in più rispetto alla media nazionale. In Sardegna la percentuale si attesta invece al 13,7%, il dato più alto a livello nazionale. Meno rinunce in Emilia Romagna, Toscana, Friuli Venezia Giulia e nelle province autonome di Bolzano e Trento. «In un contesto di crescenti difficoltà del Servizio sanitario nazionale, la spesa sanitaria delle famiglie, out-of-pocket, ha superato i 40 miliardi di euro nel 2023, registrando un incremento del 26,8% tra il 2012 e il 2022». Sempre più sono le famiglie che rinunciano alle prestazioni. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022.

E’ quanto emerge dal report dell’Osservatorio Gimbe sulla spesa sanitaria privata in Italia nel 2023, commissionato dall’Osservatorio nazionale Welfare & Salute e presentato oggi al Cnel.  «L’aumento della spesa out-of-pocket non è solo il sintomo di un sottofinanziamento della sanità pubblica –afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe– ma anche un indicatore delle crescenti difficoltà di accesso al Ssn. L’impossibilità di accedere a cure necessarie a causa delle interminabili liste di attesa determina un impatto economico sempre maggiore, specie per le fasce socio-economiche più fragili che spesso non riescono a sostenerlo, limitando le spese o rinunciando alle prestazioni».

SPESA SANITARIA NELLE REGIONI

Secondo i dati Istat-Sha, nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia ha raggiunto 176,1 miliardi di euro di cui 130,3 miliardi di spesa pubblica (74%), 40,6 miliardi di spesa privata pagata direttamente dalle famiglie (23%) e 5,2 miliardi di spesa privata intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (3%). Considerando solo la spesa privata, l’88,6% è a carico diretto delle famiglie, mentre solo l’11,4% è intermediata. «Parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente Istat al 1° gennaio 2023, il valore nazionale è di 730 euro pro-capite, con un range che va dai  1.023 della Lombardia ai 377 euro della Basilicata. Questa distribuzione evidenzia che le regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno o in Piano di rientro si collocano al di sotto» spiegano dalla fondazione Gimbe. Tornando ai dati regionali, nelle Marche la spesa sanitaria pro-capite ammonta a 638 euro, inferiore alla media nazionale che si attesta invece a 730 euro. Dove si spende di più è in Lombardia con 1.023 euro, chiude invece la classifica la Basilicata.

LA SPESA DELLE FAMIGLIE

A pesare sulla voce “spese sanitarie” delle famiglie c’è l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e la riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (18,1 miliardi di euro). Seguono, secondo Gimbe, i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a 15 miliardi di euro) e l’assistenza a lungo termine che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di  4,4 miliardi di euro. «Tuttavia – spiega il Presidente Cartabellotta– le stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate».

«Ridurre la spesa out-of-pocket –aggiunge Cartabellotta– richiede un approccio di sistema articolato in tre azioni. Innanzitutto, un progressivo e consistente rilancio del finanziamento pubblico, da destinare in primis alla valorizzazione del personale sanitario per rendere più attrattiva la carriera nel Ssn. In secondo luogo, una maggiore sensibilizzazione dei cittadini per contrastare gli eccessi di medicalizzazione e una formazione mirata dei medici per limitare le prescrizioni inappropriate. Infine, una rimodulazione del perimetro dei Lea, oggi insostenibili per il numero di prestazioni incluse rispetto alle risorse pubbliche disponibili, per restituire al secondo pilastro il ruolo primario d’integrazione rispetto alle prestazioni non incluse nei Lea, come l’odontoiatria e la long-term-care, alleggerendo così la spesa delle famiglie».

 


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