«Selfie, please! Parodia di se stessi con una sola identità, si può?»

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

SELFIE, PLEASE… Forse sarei più sola/ senza la mia solitudine (E. Dickinson)
Selfie: la parola=il modo di essere, la chiave per scardinare le porte e catapultarsi nel (cyber)mondo. Mixtum tra voyeurismo ed esibizionismo, riflette fedelmente una vita recitata a soggetto con soggetti reali traslitterati in oggetti da spiare e ‘cosificare’. Selfie ovunque selfie sotto la pioggia selfie durante il footing selfie quando si cena. Selfie at Venice, sbaraccato le souvenir demodé. E così ci osserviamo, guardiamo noi che viviamo una vita aliena, quasi fossimo ‘altri da noi’.

Di là da quello che è un fenomeno di costume che, ormai da tempo, ha preso piede ovunque, l’interrogativo che sorge inquietante è: si può recitare la parodia di se stessi e rimanere con una sola identità? Frames dall’id frantumato, dall’ego multiforme, frammentato in una miriade di cloni di realtà virtuale, affinché -mirabile vero!- si compia il miracolo dell’ubiquità -al pari delle particelle infinitesimali che possono, secondo la teoria quantistica, trovarsi ‘contestualmente’ in due ‘tempi’-, dribbliamo la domanda, o forse il problema non ci tange proprio. Di qui al partner virtuale il passo è breve: similmente il viaggio (non quello interiore su cui hanno scritto pagine bellissime i grandi classici…) l’amicizia e il sesso virtuali: l’importante è ‘essere agiti’. Il narcisismo c’entra, e nella connotazione negativa, distruttiva, come distruttiva è la fissazione libidica non “sublimata”. A ben ‘guardare’, sotto il fenomeno del selfie si cela la paura di mettersi in gioco, paradossalmente di metterci la faccia -come usa dire. Paradossalmente, perché la faccia c’è sempre e comunque, per definizione, ma come distaccata dal proprio ‘originale’, come punto di vista che s’infila in una vertiginosa via di fuga all’infinito, per rimanere disancorato da ogni punto concreto.

Per cui – e mi riallaccio a precedenti riflessioni in thema- ognuno degli agenti è uno nessuno e centomila, miliardi di maschere sotto cui si nasconde inconnue (la) personne: appunto quella persona/maschera del teatro antico che significa nessuno, e che è l’equivalente del selfie e del voyerismo. E mi riferisco non solo al cyberspazio e alle sue community, ma anche all”ordigno’ al plasma che serve a spiare dentro un’altra ‘realtà’, invadendo lo spazio domestico nelle sue improbabili quanto ‘studiate’ necessità. Perché è più facile entrare nel mondo degli altri, ché, entrando nel proprio, l’individuo sarebbe preda dei fantasmi, vittima di quelle zone grigie che egli non ha voluto esplorare, colorare, nutrendole di vita -quella ‘vera’-: di sentimenti di gioia e anche di dolore, che pure è una ‘realtà’, oggi liofilizzata. Perché, immerso in un liquido amniotico destrutturante, il protagonista dell’etere non osa, né sa più chiamare le cose col vero loro vero nome. A conti fatti, meglio non si svegli: perché, differentemente da quanto accade al ridestarsi dai sogni, ad attenderlo dietro l’angolo troverebbe, horribile visu!, un altro da sé.

*giudice


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