di Maurizio Petrocchi *
La Nato è morta? Il Piano dell’Europa per la sopravvivenza militare in un mondo post-atlantico
Il Risveglio dal sonno strategico
L’Europa ha vissuto per oltre tre decenni nell’illusione che la sicurezza fosse un dividendo permanente della fine della Guerra Fredda. L’aggressione russa contro l’Ucraina ha brutalmente dissolto questo paradigma, rivelando le fratture strutturali nell’architettura di sicurezza europea. Come affermato da François Heisbourg, “l’Europa della difesa è rimasta prigioniera del paradosso della sovranità condivisa: troppo integrata per mantenere piena autonomia nazionale, ma non abbastanza per generare una vera capacità comune”.
La “Zeitenwende” evocata dal Cancelliere Scholz nel 2022 segna il momento in cui l’Europa ha dovuto confrontarsi con la realtà: la frammentazione delle politiche di difesa rappresenta un lusso insostenibile. L’assenza di una capacità autonoma di proiezione di potenza ha trasformato l’Europa in ciò che Richard Haass definisce “un attore geopolitico incompleto” – economicamente possente ma strategicamente vulnerabile.
La dimensione empirica della vulnerabilità europea
Il concetto di autonomia strategica ha sofferto di un deficit empirico cronico. I dati sono inequivocabili: secondo i rapporti più recenti, 18 Stati membri NATO europei hanno raggiunto l’obiettivo del 2% del PIL per la difesa nel 2024, con la Polonia al 4%, mentre Italia e Spagna rimangono sotto soglia. L’International Institute for Strategic Studies rivela che l’Europa collettivamente spende €230 miliardi annui, generando appena il 30% delle capacità operative americane con budget comparabili.
La frammentazione genera inefficienze macroscopiche: 17 diversi tipi di carri armati contro l’unico modello americano, 29 differenti classi di fregate e cacciatorpediniere rispetto alle 4 statunitensi. Come evidenziato dalla European Defence Agency, “la duplicazione costa tra 25 e 100 miliardi di euro all’anno”.
Lezioni dai fallimenti precedenti
La storia dell’integrazione militare europea è costellata di iniziative ambiziose con risultati deludenti. L’Eurofighter Typhoon, con ritardi cronici e costi raddoppiati secondo il Bundesrechnungshof tedesco, rappresenta l’emblema delle difficoltà dei programmi multinazionali. L’EUROFOR, istituita nel 1995 e sciolta nel 2012, dimostra l’inefficacia operativa delle strutture esistenti, avendo condotto solo missioni minori nei Balcani.
L’analisi rivela pattern ricorrenti: riluttanza a cedere sovranità in un settore centrale per l’identità nazionale; divergenza degli interessi strategici; assenza di un comando unificato con reale autorità decisionale. Come sottolinea un documento dell’UE, “solo il 18% dei progetti PESCO è realmente operativo”.
La sfida multi-dominio e l’espansione del campo di battaglia
La sicurezza europea affronta un panorama operativo radicalmente trasformato. La guerra in Ucraina ha confermato l’importanza del dominio terrestre, ma ha evidenziato anche l’emergere di nuovi domini critici che richiedono approcci dottrinali innovativi.
Il dominio marittimo assume oggi una duplice valenza strategica: controllo delle linee di navigazione mediterranee per sicurezza energetica e contenimento migratorio, oltre alla necessità di contrastare l’assertività russa nel Mar Baltico e nel Mar Nero. Il dominio aereo ha subito una trasformazione paradigmatica con sistemi unmanned che rivoluzionano le dottrine d’impiego della potenza aerea.
Nel dominio cyber, l’Europa affronta un’intensificazione drammatica delle minacce. Gli attacchi informatici hanno raggiunto 4.618 incidenti nel 2023, con un incremento del 72% delle violazioni di dati rispetto al 2021. L’Italia rappresenta un caso emblematico, subendo il 10-11% degli attacchi globali nonostante rappresenti solo il 2% dell’economia mondiale. Gli attacchi contro infrastrutture italiane sono cresciuti del 65% nel 2023, con l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale che registra un aumento del 140% degli incidenti gestiti.
La frammentazione degli investimenti europei in cybersecurity (fondo UE di 8 miliardi per 2021-2027) rivela un gap critico rispetto ai 100 miliardi annui investiti dagli USA, evidenziando un’asimmetria strategica che compromette la postura difensiva continentale.
La guerra cognitiva: il fronte invisibile
La dimensione cognitiva ha assunto importanza strategica. Come osserva Peter Pomerantsev, “la realtà è sostituita da narrative multiple per destabilizzare” le democrazie occidentali.
La Russia ha dimostrato particolare abilità nell’orchestrare operazioni informative complesse per erodere la coesione sociale e politica occidentale. La frammentazione linguistica e culturale europea complica lo sviluppo di contromisure efficaci. Secondo Camille Grand, “la sicurezza cognitiva rappresenta il tallone d’Achille dell’architettura difensiva europea”.
Prospettive per un’autonomia reale
L’Europa si trova di fronte a una biforcazione strategica: continuare un’integrazione incrementale e simbolica, o intraprendere una trasformazione radicale che comporta scelte difficili:
• A livello politico-istituzionale, superare il principio dell’unanimità che paralizza l’azione europea.
• Sul piano industriale, consolidare la base tecnologica attraverso fusioni transnazionali e specializzazione funzionale.
• Dal punto di vista operativo, sviluppare capacità di pianificazione e comando integrate.
Come sottolineano i documenti strategici dell’UE, “l’autonomia strategica non è un fine in sé, ma un mezzo per garantire la sicurezza in un contesto di competizione sistemica”.
La costruzione di una reale difesa europea è un progetto politico prima che militare. L’Europa possiede le risorse per diventare un attore strategico autonomo. Ciò che manca è la volontà politica di superare gli interessi nazionali di breve termine. Il futuro dell’Europa come attore geopolitico rilevante dipende dalla capacità di rispondere efficacemente a questa sfida storica.
* docente di storia del giornalismo e media digitali all’università di Macerata, storico ed esperto in conflitti, violenza, politica e terrorismo
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