di Luca Pieti *
Cari genitori, probabilmente vi è capitato di guardare la serie tv “Adolescence” o se non lo avete ancora fatto, ne avrete sicuramente sentito parlare, considerato l’impatto mediatico che ha avuto.
Certamente sia nel primo che nel secondo caso la sensazione avvertita è di sentirsi preoccupati e disorientati. Perché oggi, più di ieri, parlando di adolescenti avvertiamo un senso di allerta? Forse questa serie tv ci ha costretti a riflettere su un tema che, volenti o nolenti, ci tocca da vicino, quotidianamente. Qual è veramente l’ambiente che frequentano i nostri figli? Che impatto ha sulle loro scelte e comportamenti, e in alcuni casi, purtroppo sulle loro vite?
Adolescence è una mini-serie britannica ma potrebbe tranquillamente essere ambientata in Italia, che ruota attorno a un evento drammatico: l’omicidio di una ragazzina. Il colpevole? Un apparente “bravo ragazzo”, che va bene a scuola, bei voti e che appartiene ad una famiglia normale, ma se osservato con attenzione, sotto questa superficie, porta con sé il cyberbullismo, la mascolinità tossica, la sottocultura “incel” ed altre svariate pressioni sociali. Sostanzialmente una grossa fetta dei contenuti di cui i nostri preadolescenti e adolescenti si “nutrono” ogni giorno a tutte le ore, ininterrottamente.
Modelli di riferimento, culture e sub-culture che si vanno a sovrapporre le une con le altre, eroi buoni ed eroi cattivi, tutto in questo immenso calderone; i social network. Non che i social siano intrinsecamente cattivi ovviamente, ma spesso noi adulti, vuoi per mancanza di tempo o perché non lo riteniamo così necessario, non offriamo valide ed allettanti alternative in quanto a modelli di riferimento, delegando spesso, erroneamente, questo compito alla scuola o alle istituzioni. E loro, i nostri ragazzi, per una naturale necessità, vanno a cercarseli da soli, costruendosi man mano le loro nuove e spesso fragili identità.
L’essere umano (l’animale uomo) funziona così: prima si identifica nei modelli che trova in famiglia, poi nella scuola, nel lavoro e infine nella società. Un percorso obbligato, che ribadisco ha origine nella famiglia.
Purtroppo a questo determinante, quanto delicato processo non gli attribuiamo il giusto valore, o per mancanza di tempo o perché non lo riteniamo importante, infatti Fedez, Corona e la Ferragni hanno milioni di follower, mentre nello stesso social, Parmitano e la Cristoforetti ne hanno molti meno della metà! Questo è un chiaro indicatore che qualcosa non funziona come dovrebbe.
I modelli di riferimento servono per capire chi siamo e chi vogliamo diventare e sono, come già detto, una naturale necessità. Oggi però non ci sono solo il bravo insegnante, l’amico saggio del paese, il nonno, la nonna e noi genitori ad essere da esempio. Nei social network ci sono moltissimi altri modelli, utilissimi certamente ma altrettanti dannosissimi che i nostri figli intercettano, ma che purtroppo non sempre riescono a selezionare con criterio; in fondo non hanno ancora l’esperienza e la capacità critica per distinguere la qualità di ciò che trovano/individuano.
A questo punto la situazione si complica: i suddetti ambienti infatti offrono un’infinità di modelli, modi per essere riconosciuti, accettati e gratificati attraverso funzionamenti che “intrappolano”, come ad esempio quel noto meccanismo di ricompensa che scatta ogni volta che un “like” o un commento arriva sul nostro (loro) schermo e la successiva secrezione di dopamina. Potente, immediato, e per un adolescente in cerca di identità, irresistibile.
Proviamo ora ad osservare questo fenomeno da due punti di vista differenti.
Da una parte noi, gli adulti, spinti dal bisogno di consolidare ciò che abbiamo costruito nel tempo, che ci conferisce la nostra più o meno solida identità, predisposti naturalmente ad un non cambiamento. Motivo per cui è così difficile modificare i nostri comportamenti, ma soprattutto acquisirne di nuovi, proprio perché minacciano la nostra oramai stabile identità.
Dall’altra parte ci sono loro, i ragazzi, gli adolescenti, con la loro predisposizione al rischio, a fare nuove esperienze e un’energia che sembra inesauribile ma con poca capacità critica ed esperienza.
Infine nel mezzo ci sono loro, i social network questo enorme spartiacque e i loro contenuti che pensiamo bene o male di conoscere e gestire sia noi adulti che loro, i nostri ragazzi, ma che sottovalutiamo entrambi enormemente.
Cosa possiamo fare quindi come genitori (adulti)? Un suggerimento semplice ma non banale e che richiede consapevolezza e impiego di tempo. Impariamo ad utilizzare gli stessi strumenti che i nostri figli usano ogni giorno. Consapevoli che è necessario, affrontando le nostre naturali resistenze (comportamenti nuovi). Entriamo nel loro mondo, non per controllarli, ma per capire cosa li attrae, cosa li influenza e quali modelli vengono “offerti”. Solo così potremmo cercare di comprendere e interpretare i loro interessi e le loro eventuali scelte, oltre ad entrare in possesso di codici comunicativi comuni. Ma attenzione: non si tratta di negare o vietare, approccio che spesso ottiene l’effetto opposto, ma di avere a disposizione più strumenti idonei per accompagnarli ed orientarli. Per farlo, però, dobbiamo conoscere quell’ambiente, sporcarci le mani, scrutare Instagram, TikTok e YouTube, con l’intenzione chiara di capire, decifrare e comprendere.
Adolescence ci ha messo davanti uno specchio: i nostri ragazzi non sono solo i “bravi ragazzi” che vediamo a cena. Sono anche altro, e quell’ “altro”, rispetto alla nostra pre-adolescenza e adolescenza è molto più complesso e insidioso e abita in un mondo che non possiamo permetterci più di ignorare o sottovalutare, per essere davvero li al loro fianco. Articolo scritto senza scomodare nessuna IA.
* psicologo e formatore fermano, docente presso l’Università degli Studi di Padova e presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli
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