Alle soglie del riarmo (1914-2024). Le inquietanti rime della storia d’Europa

di Maurizio Petrocchi *

“Gli uomini fanno la loro storia, ma non la fanno a loro piacimento; non la fanno in circostanze scelte da loro…” – Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte
Nel 1914, l’Europa si avviava alla catastrofe in uno stato di cieca fiducia nelle proprie istituzioni, nel progresso scientifico, nelle interdipendenze economiche. L’opinione pubblica, galvanizzata dal nazionalismo e dal culto della tecnica, riteneva la guerra un anacronismo superato. Fu proprio in quel clima che esplose, come un fulmine in un cielo solo apparentemente sereno, il conflitto più devastante mai conosciuto sino ad allora. Nel 2024, l’Europa – scossa dall’invasione russa dell’Ucraina, dall’instabilità ai propri confini e da un sistema globale sempre più multipolare e competitivo – si trova nuovamente di fronte a un bivio storico. La risposta che ha scelto, a partire dal 24 febbraio 2022, è inequivocabile: il riarmo. Ma il ritorno della dimensione militare nello spazio politico europeo, dopo decenni di fiducia nella pace perpetua, solleva interrogativi profondi e memorie sopite. Siamo davvero entrati in una “nuova epoca di deterrenza” o stiamo, inconsapevolmente, imboccando strade già percorse?

Alla vigilia della Prima guerra mondiale, l’Europa era attraversata da un sistema di alleanze rigido, in cui il meccanismo della solidarietà automatica tra Stati – Triplice Alleanza contro Triplice Intesa – rendeva ogni crisi regionale potenzialmente globale. Il nazionalismo esasperato, l’imperialismo coloniale, la corsa agli armamenti e la crescente influenza degli Stati Maggiori sulle scelte politiche componevano una miscela esplosiva. L’assassinio di Francesco Ferdinando a Sarajevo non fu che la scintilla in un mondo saturo di tensioni. La guerra venne accolta, nella maggior parte delle cancellerie, non come una tragedia, ma come un’opportunità: di rigenerazione nazionale, di ridefinizione degli equilibri, di catarsi. Il resto è storia: 20 milioni di morti, quattro imperi dissolti, la fine del mondo ottocentesco. Oggi l’Europa si muove in un contesto assai diverso, ma segnato da dinamiche strutturalmente simili. L’aggressione russa all’Ucraina ha rappresentato uno shock strategico che ha demolito l’illusione dell’“età post-storica”. Per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, l’Europa arma un paese in guerra, finanzia l’industria bellica attraverso fondi comuni, mobilita risorse per aumentare la spesa militare in quasi tutti gli Stati membri. La Commissione europea, tradizionalmente imperniata sul linguaggio dell’economia e del diritto, ha cominciato a parlare il linguaggio del potere: European Peace Facility, EDIRPA, ASAP, EDF e, non da ultimo, la proposta di un piano “ReArm Europe” da centinaia di miliardi per costruire una vera autonomia difensiva. Tutto questo in un contesto in cui l’equilibrio internazionale è di nuovo incerto, con una crescente rivalità sino-americana, una NATO sotto tensione per la possibile discontinuità politica a Washington, e un Mediterraneo attraversato da crisi permanenti. Confrontare il 1914 con il 2024 non significa appiattire epoche storiche differenti in un parallelismo semplicistico, bensì riconoscere come taluni meccanismi strutturali della politica internazionale possano ripresentarsi con nuove forme, ma logiche simili. Le “rime” della storia, per usare un’efficace metafora di Mark Twain, emergono più chiaramente quando si osservano i sistemi che regolano l’equilibrio del potere. Nel 1914 l’Europa era dominata da un sistema bipolare fondato su alleanze rigide, in cui il meccanismo della solidarietà automatica – Triplice Alleanza contro Triplice Intesa – rendeva ogni crisi locale suscettibile di degenerare in conflitto generale. Oggi, al contrario, ci troviamo in un mondo multipolare, privo di una struttura gerarchica chiara, ma comunque soggetto a tensioni sistemiche crescenti, dove la competizione tra blocchi (occidentale, sino-russo, globale sud) si dispiega su piani economici, tecnologici, energetici e ideologici. La corsa agli armamenti che precedette il 1914 trovava nella produzione di cannoni, corazzate e mobilitazione di massa la sua manifestazione più evidente. Oggi, l’accelerazione delle spese militari avviene in forme tecnologicamente avanzate: droni, intelligenza artificiale, cyberwarfare, sistemi d’arma interforze. Si tratta di una nuova rivoluzione militare, meno visibile ma non meno pericolosa, perché si muove nei territori dell’invisibile, dell’asimmetrico e della guerra cognitiva.

All’epoca, il nazionalismo rappresentava il collante ideologico delle masse e dei governi. La retorica dell’onore nazionale, dell’espansione imperiale e della superiorità culturale giustificava l’uso della forza come strumento legittimo di affermazione statale. Oggi, sebbene non si parli più in quei termini, ritornano forme di sovranismo, di rivalutazione della potenza militare come attributo della sovranità, e di una crescente diffidenza verso i vincoli multilaterali. La diplomazia, nel 1914, era priva di reali strumenti di crisi: la gestione dell’incidente di Sarajevo fu affidata più ai telegrammi degli ambasciatori che a tavoli multilaterali. Oggi disponiamo di istituzioni globali e regionali – ONU, UE, OSCE, NATO – ma spesso svuotate della loro efficacia politica, impantanate tra veti incrociati e mancanza di visione comune. Quanto all’opinione pubblica, se nel 1914 fu per molti versi complice – galvanizzata dalla stampa nazionalista e dalle retoriche belliciste – nel mondo contemporaneo essa si presenta divisa, disorientata, esposta alla manipolazione informativa, ma anche capace di mobilitazioni pacifiste, di pressioni morali, di interrogativi critici sulla legittimità e sul costo umano delle scelte strategiche. Le analogie tra 1914 e 2024 non sono nei dettagli, ma nelle logiche sottostanti: la difficoltà a gestire la complessità sistemica, l’affievolirsi dei meccanismi multilaterali, la rincorsa alla sicurezza attraverso l’aumento del potenziale offensivo, e la crescente distanza tra élite decisionali e società civili. La grande questione, oggi come ieri, è se l’Europa saprà dotarsi di strumenti di difesa senza tradire i propri principi fondativi. Una difesa europea – credibile, interoperabile, efficiente – è oggi necessaria. Ma la sua costruzione non può essere esclusivamente tecnica, industriale o finanziaria. Deve essere anche culturale, politica e morale. Altrimenti si rischia una militarizzazione senza anima, una ripetizione inconsapevole delle traiettorie che nel 1914 portarono al disastro. Allora, come ricorda lo storico Christopher Clark, le élite europee furono “sonnambuli” che marciavano verso il baratro, senza rendersene conto. Oggi abbiamo il vantaggio – e la responsabilità – di conoscere quella storia. Sarebbe tragico non farne tesoro.

* Professore di Storia del giornalismo e dei Media digitali Università di Macerata


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